«Tutto iniziò con nonno Augusto, che arrivò da Padova nel 1934 per andare a lavorare alla Ganna in viale Belforte»: Angelo Zoccarato, nel negozio officina di via Amendola a Masnago, è alla terza generazione di un mestiere che nel tempo è cambiato molto, anche se qui ogni bicicletta ha la sua dignità e merita di essere riparata. «Rispetto ad altre città a Varese mancano le infrastrutture per far diventare la bici un vero mezzo di trasporto. Le piste ciclabili? Non si costruiscono a pezzi, ma a regola d'arte. Il cicloturismo regge, ci sono molti appassionati che arrivano dal Nordeuropa: le prime salite per loro sono qui»

Angelo Zoccarato nella sua officina di riparazione biciclette ZoccaCicli a Masnago, Varese
È l’odore che riporta all’infanzia, quando il nonno ti prendeva per mano e ti portava nella bottega del ciclista, a cambiare il filo dei freni o a scegliere la bici nuova perché eri stato promosso: l’odore della gomma, mescolato a quello delle biciclette nuove fiammanti appese al soffitto, con i telai ancora incartati. Entrare nell’officina di “Zocca Cicli” in via Giovanni Amendola 5 a Masnago, vuol dire risentire quel profumo inebriante, una sorta di droga per ogni pedalatore, da quello della domenica all’atleta con l’ultimo modello in fibra di carbonio.

Angelo Zoccarato, il “Zocca”, classe 1964, è un ciclista di terza generazione, testimone della profonda trasformazione del mezzo bicicletta, grazie a una tecnologia sempre più raffinata e avveniristica, evolutasi in parallelo con quella automobilistica.

«La professione la incominciò mio nonno Augusto, arrivato a Varese da Padova nel 1934, per andare a lavorare alla Ganna di viale Belforte. Dopo qualche anno rilevò la gestione del distributore di benzina che allora esisteva sotto il complesso del Palace Hotel e del Kursaal, con annessa officina di riparazione biciclette. La benzina era ancora fornita da Supercortemaggiore, l’antenata di Agip. L’attività del nonno subì due bombardamenti, il secondo fu fatale, andò giù tutta la bottega, così si trasferì a Masnago, dove c’era la vecchia filanda e oggi il palazzo con la farmacia Castelli, quindi un poco più avanti, dove siamo rimasti io, papà e mio fratello Silvio, per 49 anni», racconta Angelo, nel negozio-officina di Masnago da undici anni.

«Ho imparato il mestiere dal nonno e da mio padre Luigi, che per un periodo lavorò all’Harley Davidson di Schiranna al reparto esperienza, poi quando subentrò Cagiva si licenziò e riprese il lavoro di ciclista. Mi sento un meccanico di biciclette, pedalo, ma a livello amatoriale, ho una Olmo da corsa e una mountain bike, ci vado appena posso».

La bicicletta ha subito una profonda trasformazione negli anni: «Penso ai Settanta, quando i modelli erano un po’ tutti simili e le case lavoravano sui materiali. Poi negli anni ’80 la prima rivoluzione, con l’avvento della mountain bike, con il mitico “Rampichino” della Cinelli, quindi i nuovi materiali e la bicicletta elettrica intorno alla metà degli anni ’90. Con l’arrivo del marchio Shimano con i rapporti demoltiplicati che consentono alla bicicletta una grande versatilità e dell’elettrica, con le batterie al piombo e i motori torsionali Bosch e Yamaha, il mercato è completamente mutato, aprendo a una clientela che prima non si avvicinava al turismo a pedali».

Ma oggi il mercato della bicicletta non gode buona salute. «È in forte crisi, la gente fa fatica, i prezzi aumentano e poi da noi mancano le infrastrutture per far sì che la bici diventi a tutti gli effetti un mezzo di trasporto, cosa che faciliterebbe la decongestione del traffico in città. Ma gli amministratori, che secondo me non sono mai saliti in sella per fare un giro a Varese, hanno soltanto costruito qualche pezzo di pista ciclabile, tra l’altro lasciata a sé stessa, senza un progetto organico. Solo Marco Caccianiga, qualche anno fa, si battè per migliorare la ciclabilità nel nostro territorio. Se almeno gli amministratori copiassero ciò che avviene negli altri Paesi, la Svizzera per esempio, dove le piste sono realizzate a regola d’arte, ma fanno neppure questo. Così si capisce perché i genitori non si fidino più a mandare in giro i figli sulle due ruote, troppi pericoli e poca tutela».

Per Angelo Zoccarato ogni bicicletta ha la sua dignità e merita di essere riparata, e non è necessario spendere un piccolo capitale per aggiudicarsi un mezzo con i fiocchi.

«Adesso la moda è delle biciclette “gravel”, di fatto da corsa ma con le gomme più larghe e la possibilità di montare parafanghi, che offrono una posizione più comoda in sella e permettono al ciclista di uscire dalle strade e pedalare su piste ciclabili e percorsi misti. Con i prezzi si parte da 1.500 euro. I marchi storici italiani sono in difficoltà, tranne Bianchi, che è un brand internazionale. Ora è il momento delle case americane, da noi tanti artigiani sono spariti per gli elevati costi di gestione. Restano Colnago, non più italiana, che fornisce l biciclette a Pogacar, poi la triestina Wilier, Olmo, del gruppo Cicli Mortara di Cuneo, che lavora molto bene, Bottecchia e Olympia, recentemente acquistata dalla ditta Lombardo, siciliana».

Da “Zocca Cicli” si trova anche l’usato, «anche se ormai con le piattaforme online chiunque può vendere e acquistare facilmente anche a buon prezzo». Una volta capitava spesso che un bambino o ragazzo ricevesse in dono la bici, oggi non è più così frequente: «La due ruote non è più un regalo primario, che un ragazzo otteneva per la comunione, la cresima, il Natale o la promozione, né si vedono più per le strade dei paesi le frotte di ragazzini in bicicletta a godersi i primi momenti di libertà. Il ciclismo è fatica, una continua sfida con sé stessi, e oggi vedo quasi più donne che uomini in giro con la bici da corsa a sudare in salita. Molte poi acquistano un’elettrica per muoversi sia in città sia al lago sia verso il Sacro Monte. Il cicloturismo regge, ci sono molti appassionati che arrivano dal Nordeuropa, attrezzatissimi perché hanno la possibilità di spendere. Poi molti ciclisti che vediamo a Varese e dintorni provengono dai paesi di pianura, le prime salite per loro sono qui».

Zoccarato si rimette al lavoro, con una bici elettrica e poi con una bella Bianchi da corsa d’epoca, un oggetto senza tempo, di grande eleganza, che fa pensare alle sfide tra Gimondi e Merckx e ai corridori con il cappellino.

«Il mio è sempre stato considerato un mestiere povero, la bicicletta nel dopoguerra era il mezzo degli operai e di chi non poteva permettersi la Vespa o la Lambretta. Oggi i giovani non conoscono la storia del ciclismo, i campioni di un tempo e i grandi artigiani, non vogliono più fare fatica e scelgono lo scooter. Per fortuna le riparazioni rimangono, anche se le biciclette sono sempre più sofisticate. Però è bello sfidare sé stessi anche così, stando al passo con l’evoluzione tecnologica, purtroppo costata la fine dell’attività a qualche collega che non ha saputo o voluto aggiornarsi».

Fonte: VereseNoi vedi qui l'articolo originale

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